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LinkedIn: ancora una perdita di dati dei suoi utenti. Ecco cosa è successo

Messi in vendita dati di circa 600 milioni di profili. Non si tratterebbe di informazioni sensibili, ma è un ennesimo passo falso di LinkedIn.

Foto di Pete Linforth da Pixabay

Ancora una volta LinkedIn ha subito un furto di dati sulla sua piattaforma. Sarebbero stati rubati informazioni di circa 600 milioni di profili. Il social network dedicato al mondo del lavoro avrebbe subito uno scraping dei dati dei suoi utenti.

Si tratta del terzo furto di dati in quattro mesi, un record per nulla invidiabile. Nella giornata di oggi, infatti, è apparso su un forum di hacker un archivio di dati raccolti illegalmente dalla piattaforma. L’autore del post ha messo quindi in vendita dati di 600 milioni di account.

Furto a rischio Phishing

Foto di Robinraj Premchand da Pixabay

Le prime notizie parlano di dati non sensibili, ma che potrebbero comunque essere utili ai cybercriminali. L’autore del furto, infatti, dichiara che si tratta di informazioni migliori rispetto a quelle rubate la volta precedente.

Tra queste informazioni ci sarebbero indirizzi e-mail, collegamenti ai rispettivi social media e altri dati anagrafici. Spiccano genere, titoli di studio, date di nascita e altre informazioni condivise sulla piattaforma LinkedIn.

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Il rischio è quello di truffe, ricatti e tentativi di phishing nei confronti degli utenti derubati. In definitiva, saranno esposti al rischio di minacce o tentativi di estorsioni per la restituzione delle informazioni.

I dati sono stati rubati attraverso l’uso di strumenti ormai molto diffusi. Questi eseguono uno scan della piattaforma LinkedIn, prelevano i dati e li compilano in un formato leggibile.

Il furto è avvenuto nonostante LinkedIn, a fine giugno, aveva comunicato che non ci fosse stata alcuna violazione dei dati. Dichiarazione apparsa piuttosto goffa e indice di una scarsa preoccupazione di un problema tutt’altro che indifferente.

Infatti, il Social media non ha implementato nuove misure anti-scraping volte a fare prevenzione. Le tecnologie tutt’ora utilizzate, infatti,  si sono rivelate inadatte e un ostacolo inesistente per gli hacker.

Gianluca Merla

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