Rocket Lab, produttore aerospaziale americano, non si occupa solo di lanci orbitali di piccoli satelliti. L’azienda, questa volta, fa parlare di sé non per un lancio, bensì per un recupero fatto in maniera piuttosto particolare.
Rocket Lab: non solo lanci spaziali
L’azienda neozelandese, con sede in California, è diventata famosa per essere stata la prima ad impegnarsi nel recupero del booster del razzo Electron in una maniera mai vista prima.
Ormai la notizia di lanci di satelliti per la messa in orbità non è più così eclatante. In effetti basta pensare alla Starlink, il servizio satellitare in banda larga, che attualmente conta, in orbita, circa 2200 satelliti.
Proprio per questo progetto, anni fa Rocket Lab accusò SpaceX di inquinamento orbitale. Per rimanere in linea con l’ideologia di limitare questa espansione di contaminazione spaziale, dunque, la Rocket Lab si impegna non solo al lancio dei satelliti, ma anche nel limitare questo fenomeno.
Un recupero inedito
Ciò che ha fatto notizia, è stata la particolare modalità di recupero del booster durante la missione Electron, la ventiseiesima per l’azienda. Questa prevedeva la messa in orbita di 34 nuovi satelliti, per arrivare ad un totale di 146.
La missione è partita dal Pad A, nel Lauch Complex 1, situato nella penisola di Mahia, in Nuova Zelanda. Il lancio è stato effettuato alle 10:49 del 3 maggio, corrispondente alle 00:49 in Italia.
Durante il lancio, Rocket Lab ha utilizzato un metodo del tutto nuovo per il recupero del booster. Invece del nave drone, solitamente utilizzato dalla società di Elon Musk, è stato utilizzato un elicottero, che ha catturato il booster Electron a mezz’aria.
Il CEO di Rocket Lab, Peter Beck, ha successivamente fatto alcune dichiarazioni riguardo al recupero. La sua particolarità, infatti, non è solamente nel modus operandi. Ha parlato, dunque, del difficoltoso allineamento di fattori che potrebbero influenzarlo, assieme a molti sistemi che devono lavorare simultaneamente in maniera impeccabile.