L’energia pulita prodotta attraverso i bacini idroelettrici può produrre criptovalute? Secondo Francesca Failoni e Francesco Buffa la risposta è sì. Le loro centrali possiedono centri di calcolo e producono da sé nuove entrate.
L’energia idroelettrica è tra le più sfruttate in Italia per quanto riguarda le fonti rinnovabili. Ma oltre a elettricità può generare…Bitcoin O meglio, criptovalute in generale. L’idea è nata tra le vette alpine vicino a Trento grazie a due ventenni pieni di inventiva.
Parliamo del direttore finanziario della Alps Blockchain Francesca Failoni e del collega e socio Francesco Buffa. Entrambi vengono da un percorso di studi strettamente improntato sull’economia. Non potevano non notare la crescita esponenziale del valore del Bitcoin. Così si sono buttati sulla tecnologia blockchain, centri di calcolo installati direttamente sulla centrale.
LEGGI ANCHE: Investire in Bitcoin conviene ancora? Queste nuove cripto potrebbero essere la svolta attesa
Al momento sono diciotto i centri di produzione di energia idroelettrica che usano la loro potenza per generare criptovalute. In ognuno di essi per alimentare i calcolatori si utilizza dal 30 al 70% dell’energia prodotta. L’aumento delle entrate è pari al 100%. L’obiettivo dei due soci è riuscire ad arrivare a trentadue centrali entro l’estate.
Bitcoin alleati dell’ambiente
La scelta per questo tipo di tecnologia è ricaduta sull’idroelettrico per un motivo semplice. Si tratta di una fonte rinnovabile che eroga energia in forma continua. Il fotovoltaico e l’elolico sono meno costanti, dipendendo dall’insolazione o dalle correnti.
La morale della storia è lampante. Una moneta virtuale come il Bitcoin può rilanciare l’energia pulita, diventandone alleata. Queste due sorgenti (una di corrente, l’altra di guadagno) possono rigenerarsi a vicenda.
LEGGI ANCHE: Italiani a rischio, aumentano prezzi elettricità del 40%: sapremo davvero rinunciare aila nostra amata tecnologia
Se questi due ragazzi sono all’avanguardia per l’Italia, non è così altrove. La Svizzera da anni ha lanciato la Helvetic Mine, che funzione con energia green al 100%. Sembra tutto in discesa, ma qualche dubbio emerge.
La struttura legata al Bitcoin consuma infatti una media di 150 TWh. Un simile fabbrisogno è circa la metà di quello di uno stato come il nostro. Il rischio quindi è che le criptvalute arrivino a monopolizzare il mercato dell’energia elettrica facendone aumentare i costi.
A portarlo alla luce è stato il professor Bruschi che gestisce l’Osservatorio Blockchain e insegna al Politecnico di Milano. Tutto dipende dal riuscire a stabilire un equilibrio.